Le Vicende Storiche Del Parco Di Villa Lebrecht


Villa Lebrecht si trova nel cuore della Valpolicella, a fianco della pieve di San Floriano. Per anni appartenuta all’Amministrazione provinciale di Verona e adibita a ospedale e poi a scuola, è attualmente proprietà della Fondazione Cariverona e sede del corso di laurea in Scienze e Tecnologie Viticole ed Enologiche dell’Università degli Studi di Verona. La villa, che deve il suo attuale nome agli ultimi proprietari, è immersa ancora oggi nell’omonimo parco che, contrariamente all’edificio storico, attende un intervento di recupero e ripristino delle sue funzioni architettoniche e paesaggistiche.


Il Dibattito Sul Giardino All'Inglese

Il parco e la villa si presentano ancora oggi nella veste ottocentesca ottenuta dalla ristrutturazione voluta e personalmente curata dall’architetto e allora proprietario Giacomo Franco, nobile veronese sicuramente coinvolto nel dibattito sulla nuova forma dei giardini, dove si poneva a confronto il tradizionale giardino ‘all’italiana’ con quello cosiddetto ‘all’inglese’, più vicino alla nuova sensibilità romantica.

Quello che viene definito ‘giardino all’inglese’, ‘giardino informale’ o, appunto, ‘giardino romantico’, fece la sua prima comparsa in Veneto già tra l’ottavo e il nono decennio del Settecento, suscitando forti reazioni: condannato da Scipione Maffei nel 1733 come una pratica che distorceva e distruggeva il giardino italiano, divenne argomento di primo piano negli ambienti culturali veronesi grazie a Ippolito Pindemonte che, di ritorno da un viaggio nel Regno Unito, tenne a Padova presso la locale accademia una Dissertazione sui giardini inglesi (1792)4, cui seguì poco dopo il discorso di Luigi Mabil, docente di filologia classica e di estetica, Sopra l’indole dei giardini moderni (1796).

Pindemonte criticava negativamente il nuovo stile per la separazione che veniva a crearsi con il contesto della residenza e perché tali giardini risultavano spesso eccessivi nella ricchezza di stili e di immagini proposte al visitatore, passando, nell’arco di una semplice svolta di sentiero, da un quadro di rovine romane a un laghetto con pagoda cinese e così via.

Pindemonte da un lato dunque difese e sottolineò la bellezza e le particolarità dei giardini italiani che andavano via via scomparendo nella nostra provincia per far posto ai giardini realizzati nel nuovo stile, ma d’altro canto suggerì una soluzione intermedia, proponendo una suddivisione tra la porzione nelle vicinanze dell’abitazione, dove si rimaneva fedeli alle caratteristiche del giardino formale, e le zone circostanti, lasciate più libere, irregolari e in sintonia col paesaggio, secondo la moda inglese.

Queste considerazioni vennero ulteriormente avvalorate da Luigi Mabil, che sottolineava l’impossibilità di una compiuta realizzazione dei nuovi giardini in spazi relativamente limitati rispetto all’ampiezza loro riservata in Inghilterra.

I suggerimenti di Pindemonte vennero favorevolmente accolti e numerosi giardini del Veronese vennero progettati o adattati alla moda inglese, mantenendo un costante dialogo con la residenza e con un uso limitato di particolari architetture, mentre i parchi si arricchirono di specie esotiche che si accostavano a quelle locali e tradizionali per creare contrasti cromatici con il paesaggio circostante, oltre ad assecondare la nuova passione per il collezionismo botanico. L’acqua, elemento indispensabile del giardino ottocentesco, si presenta in una nuova forma e da fontana monumentale diviene laghetto dai contorni irregolari, talvolta di dimensioni notevoli, che non manca di ospitare al centro una piccola isola. Il complesso è completato dalla ghiacciaia, che viene rifornita di ghiaccio durante l’inverno dal vicino laghetto, e dalla serra per ricoverare nella stagione fredda i vasi di agrumi o coltivare per tutto l’anno le varietà esotiche più delicate.

Giacomo Franco e Il "Giardino Moderno" a San Floriano

Giacomo Franco conosce, condivide e mette dunque in pratica le teorie dei suoi contemporanei in materia di ‘giardini moderni’, sperimentandole proprio nel parco a San Floriano.

Una planimetria della villa presa dal Catasto austriaco permette di capire che il parco all’inizio dell’Ottocento non aveva ancora assunto le peculiarità di tale ‘giardino romantico’; solo in un periodo compreso tra il 1842 e il 1847 la villa divenne una residenza di prestigio e il giardino venne ampliato inglobando alcuni terreni arativi e prativi situati a sud-est, passando così da uno a otto campi: qui venne allestito il parco provvisto di laghetto. Giacomo Franco progettò e ridefinì l’intera proprietà, come la descrisse Camillo Boito nel 1897 nel ricordare l’amico scomparso: «a San Floriano, ove si alza un’antica basilica lombarda, fiancheggiata dal vetusto campanile, volle rifar di pianta il palazzo»; «il disegno fu via via modificato, finché la villa si specchiò nell’acqua di un lago artificiale circondato di macchie d’alberi e fiori, ove il gentil signore invitava gli amici». Il parco viene menzionato in una guida contemporanea (1859) di Verona e provincia, dove si legge: «Qui presso il giardino Franco unisce in convenevole spazio tutti gli studiati ed eleganti partiti di acque, ponti e gruppi di verdi svariati, che formano la parte ricercata nei moderni».


Ulteriori Vicende Del parco

I Franco cedettero poi il complesso a Provido Omboni nel 1865 per 40.500 fiorini; da questi passò alla famiglia Lebrecht, che nel 1880 rivitalizzò la residenza dotando il parco di un viale illuminato e cingendo il lato che guarda al palazzo con un’elegante cancellata liberty. Il prefetto Luigi Sormani Moretti, nella sua monografia sulla provincia di Verona del 1904, inserisce il parco nell’elenco dei giardini di impianto ottocentesco meritevoli di menzione perché «ridenti, grandiosi, accurati e ben tenuti [...] dotati taluni anche di ampie stufe calde, temperate e fredde dove ricoverasi ogni sorta di piante o tropicali o delicate o rare o d’altri climi, bisognose di singolari premure».

Nel 1919 la villa e il suo parco sono segnalati da Giovanni Battista Stegagno come una delle bellezze naturali della provincia di Verona da difendere dall’incuria, dal momento che quella che era «ospitale dimora un tempo della famiglia Lebrecht, fu acquistata recentemente per iscopo di speculazione». Infatti, prosegue Stegagno, «i nuovi proprietari si ripromettevano di “far legna” degli alberi annosi del parco, ripartire in lotti il terreno circostante e rivendere la villa. La distruzione del parco era imminente; già oltre una cinquantina di piante d’alto fusto erano state abbattute, quando l’intervento del nostro Comitato valse a scongiurare il maggiore danno».

In questa circostanza il parco venne «dichiarato di importante interesse artistico secondo la legge 1912. E siccome i proprietari si ostinavano ad abbattere le piante, anche dopo la notifica della dichiarazione di cui all’art. 12 del regolamento 30 gennaio 1913, così vennero dalla locale Sopraintendenza denunciati al Procuratore del Re». Non furono certo questi gli ultimi danni subiti dal parco: durante l’ultima guerra venne semidistrutto da vandalismi bellici e dal 1952 - anno di acquisizione da parte dell’Amministrazione provinciale di Verona - a oggi attende un restauro e un ripristino adeguati al suo valore monumentale e storico.



Lo stato attuale del parco di Villa Lebrecht

Il parco di villa Lebrecht copre attualmente una superficie di circa 2,5 ettari ed è caratterizzato da una lieve pendenza che porta il terreno a degradare in modo quasi impercettibile verso sud.

Il parco di San Floriano presenta un numero di specie esotiche relativamente esiguo, il che porta a concludere che abbia subito un notevole impoverimento, anche a causa della cancellazione della porzione piu occidentale dove si trovava anche parte del lago e che oggi ospita il parcheggio della facoltà e un impianto sportivo di proprietà dell’Amministrazione provinciale di Verona.


Proposta di recupero del parco di Villa Lebrecht

Giacomo Franco aveva interesse a creare nei suoi parchi un connubio tra collezionismo botanico ed estetica, adeguando la novità del giardino romantico alla tradizione del giardino italiano.

In tutti i suoi lavori ha scelto di proporre nelle vicinanze dell’edificio un giardino formale, nel ricordo della tradizione italiana, per lasciare le zone circostanti più libere, irregolari e in sintonia con il paesaggio, in accordo con quanto sostenuto da Ippolito Pindemonte.

Il parco di villa Lebrecht è stato notevolmente deteriorato nel corso del XX secolo, tuttavia presenta ancora le potenzialità del parco romantico progettato da Giacomo Franco. Di seguito viene dunque presentata una proposta di intervento per il recupero dell’area verde, formulata in coerenza con l’indagine storica, l’analisi dell’esistente e il confronto con gli altri giardini progettati da Giacomo Franco.


Linee per un recupero:

Il parco necessita di numerosi interventi sia sul patrimonio arboreo che sulle strutture. La parte più vicina alla villa deve riassumere le caratteristiche del giardino formale mentre le piante in evidente deperimento o irrimediabilmente danneggiate vanno abbattute ed eventualmente sostituite con alberi della stessa specie.

Diversi alberi di minore importanza insediatisi spontaneamente devono pure essere tolti per ricostituire le zone aperte che dovrebbero tornare a prato, come nelle vicinanze del laghetto, oppure per valorizzare gli esemplari di dimensioni rilevanti attualmente confusi nella macchia della vegetazione circostante.

La viabilità interna andrebbe ricostituita eliminando la porzione asfaltata, sostituendola con vialetti e sentieri che riprendano il disegno ottocentesco e ricostituiti con materiali idonei.

Oltre al percorso principale che collega la villa al laghetto si possono prevedere alcuni collegamenti secondari che tagliano verso l’interno del parco o che conducono in punti particolari: sono ancora leggibili il sentiero che sale sulla collinetta principale o il percorso che a est passa per il viale d’ippocastani e porta alla villa.

Condizione necessaria per il ripristino dell’area è il recupero del laghetto e del torrente, poiché l’acqua era indubbiamente l’elemento caratterizzante di questo parco.

Le acque provenienti da Marano dovrebbero riprendere a scorrere nell’alveo fino a gettarsi, attraverso i piccoli salti artificiali da ripristinare, nel laghetto, ridisegnando il percorso ancora visibile nel parco e coincidente con quello della mappa del 1885: lo specchio d’acqua recupererebbe così la forma e le dimensioni con cui si presentava fino al secolo scorso.



Eugenio Turri

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