Villa Lebrecht a San Floriano antica possessione dei Fumanelli
Annuario Storico della Valpolicella, XVII (2000-2001)
pp. 147-164
La villa fu dapprima dei Fumanelli, poi degli Ottolini, e quindi dei Franco, degli Omboni e dei Lebrecht, per approdare infine tra le proprietà dell’Amministrazione Provinciale di Verona. Ebbe la sua prima monumentale definizione nella prima metà del XVI secolo per opera dei Fumanelli, antichi appaltatori di decime e livellari della pieve, ormai ben avviati anche come notai e medici. Essi dovevano il loro nome al paese di Fumane da cui proveniva il loro capostipite, Zeno, che dovrebbe essere approdato a San Floriano come appaltatore di decime, nonché assegnatario di terre della pieve. Ser Giovanni di Zenone ebbe un figlio, Righetto, già assegnatario di beni della pieve ed egli a sua volta ebbe un altro figlio maschio, chiamato Zeno come il bisnonno fumanese, anch’egli in relazione con la pieve per via di assegnazione di terre. Costui generò due figli: Giovanni, capostipite del ramo di campagna, con beni a San Floriano e Righetto, capostipite del ramo dei marchesi Fumanelli.
Antonio di Righetto nominò suo erede il nipote Giampaolo, nelle cui mani si concentrò il patrimonio familiare ed egli finì di completare la villa, sviluppatasi in questi decenni sul sedime dell’attuale villa Lebrecht, con annessi logge e broli. Già da tempo i Fumanelli lavoravano alla sistemazione del brolo di San Floriano e prova di ciò è la “supplica”, datata 11 febbraio 1520, presentata dai fratelli Fumanelli al potestà e al consiglio comunale di Verona, al fine di ottenere il permesso di incorporare nella loro proprietà una viazola. Gianpaolo nominò eredi il figlio Gabriele e Gabriele, a sua volta, concedette in eredità alla figlia Benedetta circa 6 mila ducati e altri possedimenti, tra cui la villa in questione.
Ella si sposò con Nicolò Maffei e il loro figlioletto, Orlandino Maffei, fu l’erede di tutti i beni appartenenti alle due casate. Egli però mostrò scarso interesse nei confronti dei possedimenti di San Floriano, tanto che vendette il complesso a Lorenzo Ottolini. L’atto di compravendita riguarda «tutta la possessione nella pertinenza di San Fiorano di Val Policella in contrà della pieve chiamata il Brollo [...] Di più quelli due pezzetti di terreno chiamati Corrobii. Item la posta da uccellare nella pertinenza di Castel Rotto.» La proprietà di San Floriano passò poi da Lorenzo ai figli Giovanni e Antonio e dopo ancora a un figlio di Giovanni, Lorenzo.
Per Giulio Ottolini, figlio di Antonio (a sua volta figlio di Giovanni) Gianantonio Ubani stese un disegno riproducente anche il palazzo, l’orto e il brolo e grazie ad esso si può evidenziare che, nel complesso, la disposizione della villa e dei rustici ripete solo in parte ciò che è dato di vedere oggi. Questo è un segno, inequivocabile, che nel frattempo qualche modifica doveva essere intervenuta.
Nonostante ciò il nucleo principale, quello padronale, sembrerebbe essere rimasto inalterato e risalire all’epoca della sua costruzione, intorno alla prima metà del Cinquecento. Tutto questo porta a pensare che almeno gli ambienti del piano terra della villa siano ancora quelli costruiti dai Fumanelli.Inoltre, in suddetta mappa, appare per la prima volta, di fronte alla villa, un’esedra e sembra anche che la comunità di San Floriano si sia riappropriata della corte rustica locale che, dopo la cancellazione di una strada preesistente, era stata annessa (su richieste dei Fumanelli) alla villa. Nei primi decenni dell’Ottocento la villa era ancora di proprietà degli Ottolini, più precisamente di Alessandro, figlio di Antonio, padre di un Giulio, di un Lorenzo Antonio e di una Marianna e proprio ad Alessandro nel 1813, e poi a Marianna nel 1818, la possessione di San Floriano risulta ancora intestata. Furono gli Ottolini a cedere l’intera struttura ai Venini, dai quali discende Elisabetta, madre dell’architetto Giacomo Franco, che nel 1847 ne risultò la proprietaria.
Il complesso era formato dalla casa di villeggiatura col giardino (3570 m2), tre case e 71 campi. Alla morte di Elisabetta, nel 1855, la proprietà passò in eredità al nipote Ernesto Franco e successivamente al padre Giacomo che, a causa di difficoltà finanziarie, nel 1865 dovette vendere il palazzo e i terreni ai fratelli Omboni. Prima della vendita Giacomo Franco aveva attuato radicali lavori di ristrutturazione, senza però modificare la pianta della villa.Ne risultò così un edificio a tre piani, con sviluppo prevalentemente orizzontale e di forme classicheggianti, decorato con ornamenti di ispirazione eclettica e con richiami alla decorazione quattrocentesca dell’Italia Settentrionale. Anche le dimensioni del giardino furono sensibilmente aumentate: furono tracciati viali e aiuole, scavato un ampio laghetto e piantati numerosi alberi. L’insieme assunse in questo modo le caratteristiche del parco romantico all’inglese.
Il periodo di ristrutturazione della struttura non è certo, ma compreso tra il 1842 e il 1847, sia per motivi economici che per considerazioni stilistiche. Peraltro, in quella circostanza venne mantenuto il piano terra dell’antica casa Fumanelli, anche se sparirono dal complesso i due corpi laterali cinquecenteschi.
Nel 1880 la villa fu acquistata dai Lebrecht, che le diedero un nuovo impulso cingendola con una cancellata liberty, dotando il parco di un viale illuminato e rivitalizzando un cenacolo letterario che qui si riuniva. In tale periodo la villa venne ribattezzata villa Eugenia, dal nome della nuova proprietaria discendente dei Lebrecht. Dal 1974 il complesso venne affidato all’Amministrazione Provinciale di Verona, che per qualche tempo l’adibì a ospedale psichiatrico e che poi destinò a sede di un istituto professionale per l’agricoltura mentre, in una parte degli ex rustici e case coloniche, venne ospitata un’azienda agricola didattico-sperimentale.